Sabato, per la prima volta dopo un anno il Santo lascia la casa del Signore
della festa per raggiungere il Duomo. Iniziano ufficialmente i festeggiamenti.
La statuina resta per alcune ore esposta per i fedeli, poi incomincia
il cammino verso la Chiesa. Chi la custodisce ormai da 12 mesi la porta
stretta tra le proprie mani, affiancato a destra dal prossimo successore,
a sinistra dal Signore da cui l’aveva ricevuta l’anno prima.
La “terna” costituita dai tre Signori, di nuovo il numero
tre, si ripete ad ogni uscita ufficiale; al loro seguito la processione
si allunga accompagnata dalla banda.
Dopo la messa in Duomo la processione segue il percorso contrario. [inizio]
Coloro
che sentono con anima e corpo la celebrazione, salgono presto in sella,
poi si accodano tutti gli altri. Spari a salve, fuochi d’artificio
e campane che suonano alle sette del mattino non sono certo la sveglia,
dopo una notte per molti insonne, piuttosto il saluto alla festa.
La primissima mattinata della domenica più vicina al 17 gennaio
di solito è molto rigida, qualche volta gelata. Non piove quasi
mai, molti lo credono un segno. In sella ai cavalli si sale presto e vi
si resta, per ore. Alcuni cavalli sono di proprietà, altri prestati
o noleggiati per l’occasione. Decine di uomini a cavallo accompagnano
il santo nel giro delle chiese. Un tempo, quando non era facile avere
un cavallo, si andava in processione con asini e muli, i compagni inseparabili
nel lavoro quotidiano nei campi.
Prima della processione la statuina, accompagnata da un corteo di automobili,
viene condotta all’Istituto zootecnico di Tor Mancina per la prima
messa della giornata insieme a quanti abitano o lavorano nell’azienda
dello Stato. Una tappa non casuale, carica di significato come le tre
successive. Qui si chiede a Sant’Antonio l’intercessione per
tutti gli animali, in una stanza circondata dal verde, messa ogni anno
a disposizione da una famiglia. Tappa successiva la Chiesa di Santa Maria
del Carmine, a Monterotondo Scalo: un tempo non si dimenticava chi, cittadino
di Monterotondo, vivendo a qualche chilometro di distanza era impossibilitato
a seguire da vicino la festa.
Infine la preghiera con gli anziani della Casa di riposo Don Giuseppe
Boccetti e poi la visita in Ospedale, per il conforto ai malati. A Monterotondo
nel frattempo si attende in sella il ritorno della statuina.
La statuina torna in seguito alla casa del “festaiolo”, per
il tempo necessario affinché fuori si preparino un calesse, la
fanfara di ottoni , e tre cavalli bianchi per i Signori. La triade dei
signori si disporrà come di conseutudine: in mezzo il signore uscente,
alla sua destra l’entrante alla sua sinistra chi ha ospitato la
statuetta di Sant’Antonio l’anno precedente.
La fanfara di ottoni e la banda non sono componenti casuali, non fungono
semplicemente da colonna sonora di un avvenimento. Con note sempre allegre,
perché si tratta di una festa, gli strumenti segnano il ritmo,
danno il tempo, infondono carica, come nel passato lo squillo di tromba
faceva partire l’assalto della cavalleria.
Ancora a cavallo si attende che il corteo arrivi in Duomo per la messa.
Qualcuno lo accompagna lungo il percorso. Sul sagrato di Santa Maria Maddalena
la statuina viene accolta dal parroco. Intanto, in un’area delimitata
da transenne, cavalli e cavallari fremono al sopraggiungere dello spettacolo
puro. C’è la “febbre” in quel perimetro.
La messa finisce, in appendice avviene la benedizione degli animali. [inizio]
Ha
inizio la cavalcata che si protrae per circa due ore e mezzo per accompagnare
il Santo lungo un percorso che può variare leggermente ma che ha
come tappe obbligate le altre tre chiese (il Convento dei frati cappuccini,
Gesù operaio e Santa Maria delle Grazie) e il cimitero. Qui il
rispetto per i defunti impone, diversamente che nel resto del percorso,
silenzio e meditazione. E il silenzio, viene suonato dagli ottoni; in
questo unico momento il loro ritmo si quieta.
La cavalcata è uno sciame colorato. Alcuni la vorrebbero ancora
più colorata, i cavalli sono agghindati di fiori fatti di carta
velina e sostenuti da fil di ferro, un richiamo al tempo in cui si inghirlandavano
i buoi per propiziare la fecondità degli animali.
I cavallari più abili ad attrezzarsi, abbelliscono i propri cavalli
di fiori e pennacchi. La moltitudine di gente assiepata lungo le strade
ad assistere è estasiata dal gioco di colori.
Alcuni non abbelliscono il proprio cavallo, ma ogni hanno il monterotondese doc spera sempre in una cavalcata in cui non manchi neanche un fiore, prima o poi accadrà, sarà bellissimo. Il costume tradizionale è un altro elemento che ogni partecipante amerebbe vedere sugli altri: il cappello alla carrettiera, retaggio di gente che trasportava nelle osterie della Capitale o nelle case dei privati il vino prodotto sui tre colli, il gilet e il foulard.
Davanti alla casa del Signore finisce la cavalcata, si scende. Il serpentone
del mattino è divenuto un gruppo più esiguo. Il festaiolo
uscente, i confratelli, le autorità politiche e quelle religiose,
oltre a qualche intimo si riuniranno a breve intorno a un tavolo per il
pranzo.
Gli altri partecipanti faranno lo stesso naturalmente, ma ognuno a casa
propria. [inizio]
Pomeriggio e sera attendono di essere vissuti. Imperdibile il momento
di commozione del passaggio della statuina dalle mani del Signore uscente
a quelle del Signore entrante.
La cavalcata del mattino è l’apoteosi per il festarolo ancora
in possesso dell’icona; la messa del pomeriggio in Duomo e la torciata
segnano invece l’ingresso del nuovo Signore nell’anno che
ha sognato e atteso durante quelli precedenti.
Il Santo esce per l’ultima volta verso le 17 dalla casa che lo ha
ospitato per 12 mesi, e viene condotto ancora in Duomo per la messa vespertina.
Fuori, il perimetro transennato colmo nella mattina di cavalli e cavallari,
ora trabocca letteralmente di gente con la torcia in mano.
Nella chiesa è il momento della consegna della statuina, dolore
da una parte, gioia dall’altra. Quella consegna, il passaggio del
Santo da un Signore all’altro, nella sua inevitabilità ricorda
il senso della continuità del rapporto di fede.
Lo Statuto della Pia Unione prevede che sia un confratello ad organizzare
la festa nel caso in cui per quell’anno non siano giunte richieste.
L’interruzione non esiste. [inizio]
Con
le torce spente e il cappello in testa, nero come al mattino, si attende
che il Santo esca dalla chiesa nelle mani del nuovo Signore. Una volta
sul sagrato si dà il via all’ investitura pubblica del Nuovo
Signore: si accendono le torce, il cappello da carrettiere, girato, adesso
è rosso. I fuochi d’artificio colorano la notte.
A sera i cappelli rossi sono venti volte di più di quelli neri,
una marea umana è pronta ad allungarsi per la città, davanti
la terna, col nuovo signore al centro, quello uscente a destra e quello
dell’anno successivo, nuovo componente, a sinistra. Si cammina lentamente
verso la casa che accoglierà il Santo. Indispensabili, oltre alle
torce, la cupella per contenere il vino e le coppiette, straccetti secchi
di carne piccante per accompagnare le bevute. Le luci rosse delle fiaccole
viste dall’alto sembrano la lava di un vulcano che scende a valle.
Lentamente ci si avvicina alla casa del nuovo festarolo.
Tre colpi di bastone sulla porta, per mano del presidente della Pia Unione,
annunciano alla famiglia che il Santo è pronto per farsi accogliere.
La donna di casa, dall’abitazione chiede ‘chi è?’
per sentirsi rispondere “E’ Sant’Antonio”. La
statuina viene condotta all’interno, si accendono le luci, la signora
la riceve e la pone nella cappellina dove resterà una settimana,
esposta per le visite dei devoti.
Sera inoltrata, sono finite la voce e le energie. La giornata più
lunga è finita. [inizio]
In passato il lunedì si celebrava una messa per i confratelli defunti durante la quale si consegnava del pane benedetto ai fedeli; si effettuava poi una nuova visita al cimitero, per portare dei fiori sulle tombe di aveva condiviso in anni passati la passione della festa. Il giorno seguente nel convento dei frati crociferi dei cappuccini si consumava un frugale pasto a base di broccoli e salsicce, accompagnato con del buon vino. Oggi il pranzo del lunedì ha preso il nome di broccolata, con gli anni si è trasformato in un vero e proprio banchetto. Si è tuttavia conservato lo stesso significato di un tempo: un ringraziamento per la buona riuscita della festa. Intorno al tavolo, oltre ai confratelli, si dispone un variegato panorama di invitati, formato dagli amici del festarolo e dai rappresentanti delle istituzioni. Il lunedì è anche il primo giorno dell’esposizione della statuina in casa del Nuovo Signore che si concluderà la domenica successiva, nell’ottavaro, ottavo giorno dall’ingresso nella casa, con la cerimonia della rimessione del Santo. Durante la cerimonia il vecchio Signore fa la propria offerta, formata da un oggetto in oro che va ad aggiungersi al Tesoro di Sant’Antonio: in esso confluiscono inoltre gli eventuali doni dei fedeli. Il tesoro viene utilizzato per far fronte alle spese sostenute e per opere di beneficenza. La statuina viene posta in un luogo in cui resterà per l’intero anno, ad esclusione dei giovedì, per un’esposizione settimanale e la recita del rosario. [inizio]
Sabato, per la prima volta dopo un anno il Santo lascia la casa del Signore della festa per raggiungere il Duomo. Iniziano ufficialmente i festeggiamenti. La statuina resta per alcune ore esposta per i fedeli, poi incomincia il cammino verso la Chiesa. Chi la custodisce ormai da 12 mesi la porta stretta tra le proprie mani, affiancato a destra dal prossimo successore, a sinistra dal Signore da cui l’aveva ricevuta l’anno prima. La “terna” costituita dai tre Signori, di nuovo il numero tre, si ripete ad ogni uscita ufficiale; al loro seguito la processione si allunga accompagnata dalla banda. Dopo la messa in Duomo la processione segue il percorso contrario.